Un po’ di tempo fa mi sono divertito a immaginare provare come ricostruire la figura di un “fromboliere etrusco” di VI-V secolo. Uso le virgolette perché la considero una descrizione un po’ forzata, visto che in realtà non rappresenta una classe militare o una specifica tipologia di combattente: è una figura che potrebbe stare bene un po’ dovunque in quel periodo, Grecia, sud Italia, centro Italia e similari.
Premetto che è solo una prima impressione, da migliorare e approfondire, realizzata con del materiale già in mio possesso.
Ma chi era costui? Nel mio caso ho immaginato potesse essere un pastore, uno dei penestes (uomini liberi, liberti o schiavi paragonabili ai clientes dell’antica Roma) legati alla gens (1) di un ricco aristocratico (dynatotatos), chiamato alle armi per accompagnare il proprio signore alla guerra, così come ci racconta Dionigi di Alicarnasso (2), in relazione all’esercito veientano accampato fuori dalle mura di Veio per affrontare l’armata consolare romana. Privo delle risorse necessarie all’acquisto di armi più efficaci, come lancia, spada etc, utilizzava probabilmente i ferri del mestiere: bastone, frombola, sassi, coltello. Quindi non propriamente un guerriero come lo immaginiamo noi.
Era un combattente più adatto ad azioni di disturbo o guerrilla, utilizzabile in caso di scontri lungo i confini dei vari territori (incursioni, saccheggi, furto di bestiame, raid etc): un modo di fare la guerra tipico delle fasi più antiche della storia militare dell’Italia antica e non solo; qualcosa di simile l’avreste potuto vedere anche nel gruppo dei Fabii, poco prima della battaglia del Cremera.
Se leggiamo quello che ci raccontano gli autori antichi, come Tito Livio, questo modo di combattere era parte integrante degli scontri fra diverse città e popolazioni dell’epoca.
Troviamo qualcosa di simile nella V classe della cosiddetta riforma serviana, anche se il parallelo richiederebbe un discorso ben più approfondito. (3)(4)
Per la mia ipotetica ricostruzione mi sono ispirato principalmente a fonti greche coeve (se possibile), soprattutto iconografiche (5), visto che di rappresentazioni etrusche non ho trovato, al momento, nulla di rilevante. È vestito con una clamide di lana legata lateralmente con un cordino e non con una fibula, proprio per sottolineare la povertà dell’individuo. É armato con una frombola (tomba della caccia e della pesca), con un bastone e con un coltellaccio.
Scalzo, si protegge il capo con un petasos di fibre naturali (per l’uso del petasos mi sono ispirato alla statuetta del cosiddetto Aratore di Arezzo, conservata al Museo nazionale etrusco di Villa Giulia e altra iconografia etrusca) ed indossa un chitoniskos di lana non tinta e priva di decorazioni, stretto in vita da un cordino fatto di lana.
Giulio Ranaldi
(1) The Tyrrhenian way of war (Hall J. 2015)
(2) Dionigi di Alicarnasso, Antichità Romane, IX, 5, 4
(3) Dionigi di Alicarnasso, Antichità Romane, IV, 16, 4
(4) Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 43.
(5) Etruscan dress (Bonfante L. 2003)